LA PEDAGOGIA NERA: riconoscerla per trasformarci come comunità umana


Nel 2000 mi trasferii a Bologna per iscrivermi in scienze dell’educazione e frequentai la facoltà per un anno e, per quella che è la mia indole, entrai a far parte di progetti sociali vari tra cui i progetti base per gli asili nido domiciliari, il nostro in particolare fu un progetto sperimentale di educazione alla Pace, poi lavorai educatrice nei centri estivi e nel coordinamento organizzativo della Parata Par Tot. Tutte realtà in cui potei imparare diversi approcci al sociale e nei rapporti tra le persone.

Tra questi mille impegni mi arrivavano molte informazioni legate al mondo della pedagogia, filosofia, arte e tutto quello che era cultura a 360° proprio come piace a me. Un giorno sentì nominare la pedagogia nera e mi partì la voglia di capire che cosa fosse, così, da quel buon topo di biblioteca che ero, cominciò la mia ricerca ma non c’era quasi nulla, tenete presente che avevo le tessere di tante biblioteche della città, compresa quella universitaria e di alcuni paesi confinanti.

Ad un certo punto trovai la storia di un medico che crebbe i figli in un regime educativo così terribile che uno si ammalò gravemente e l’altro si suicidò.

Quindi mi prendo un attimo per dirvi che se siete particolarmente sensibili, questo articolo/relazione va letta a piccole dosi.

Io ho pianto tanto quando studiavo la pedagogia nera, per cui preferisco darvi questo suggerimento e cercherò di evitare magari la descrizione di attrezzi educativi nei particolari, perchè fanno ricordare quelli inquisitori.

Nel 1973 lo psichiatra americano Morton Schatzman, ha scritto un testo intitolato "Soul Murder" (Omicidio di anima), che, nello stesso anno, in Italia è stato pubblicato da Feltrinelli col titolo "La famiglia che uccide" ed è questo il testo che lessi.
In questo libro Schatzman racconta  il caso di Daniel Paul Schreber (1842 - 1911), un famoso giudice tedesco, Presidente della Corte di Appello di Dresda, che fu seguito da Sigmund Freud.
Il giudice Schreber, all'età di 42 anni impazzì, fu curato, ma, otto anni dopo, ebbe una grave crisi, dalla quale, sembra, non si riprese mai del tutto e non fu più possibile definirlo una persona "normale".

La pazzia di Schreber fu classificata come "un caso di paranoia e schizofrenia". La malattia presentava, tra l'altro, una forma di delirio molto complesso.

Come spesso accade per le psicosi, al di fuori di queste sue idee, conservava ottime capacità intellettuali e non aveva perduto le sue competenze in campo legale e giuridico. Trascorse tredici anni delle sua vita in ospedali psichiatrici e vi morì. Pubblicò un libro "Memorie di un nevropatico", nel quale descriveva le sue idee; scrisse di se stesso: "Quando la mia malattia di nervi sembrava pressoché incurabile, raggiunsi la convinzione che un assassinio di anima era stato compiuto su di me da parte di qualcuno".

Il fratello maggiore di Daniel Paul Schreber, che si chiamava Daniel Gustav, era anche lui malato di mente, e si suicidò sparandosi all'età di trentotto anni. Si disse allora che soffriva di "melanconia".
Quindi come vennero cresciuti questi ragazzi?

 Daniel Gottlieb Moritz Schreber (1808 - 1861), il padre era un famoso medico tedesco e uno studioso di pedagogia. Le sue teorie ebbero molto successo in Germania; anche dopo la sua morte furono considerate, per parecchie decine di anni, un valido riferimento per i genitori. Le sue idee oggi, esaminate da Alice Miller, psicoanalista svizzera, sono state definite "Pedagogia Nera". Analisi di cui leggerete più avanti, ma ora vi porto una descrizione del metodo, vi ricordo che le persone sensibili potrebbero rimanere toccate da queste descrizioni.

Il Dottor Schreber, padre, scrisse diversi libri sull'educazione dei bambini, partendo dall'idea che la società tedesca di allora fosse "fiacca" e "in decadenza", e che questo fosse in gran parte causato dalla debolezza e mancanza di disciplina, con le quali venivano allevati i bambini. Elaborò "speciali mezzi educativi" che dovevano portare i bambini ad obbedienza acritica e sottomissione totale ai genitori e agli adulti in genere. Trattò i propri figli come sudditi di un dittatore crudele. Pensava che in questo modo, la società e la "razza tedesca" sarebbero migliorate.

Le idee di base del Dottor Schreber riflettevano, amplificandole come in una caricatura, le ideologie condivise dalla società borghese europea dell'Ottocento. In questo quadro di riferimento, gli uomini adulti hanno il diritto (anche Dio è maschio) di comandare sulle mogli e sui figli; i bambini vanno educati alla disciplina già a partire dal quarto mese di vita; qualsiasi manifestazione di volontà autonoma del bambino deve essere annullata.

Scriveva Schreber padre: "Il cattivo contegno di un bambino diverrà nell'adulto una grave mancanza di carattere che apre la via al vizio e alla bassezza".

Attraverso i metodi educativi di Schreber si doveva arrivare ad un adulto che fosse capace di autodeterminazione. Il risultato ottenuto su suo figlio fu descritto dal direttore del manicomio che lo aveva in carico: "Il paziente era completamente sotto il potere di opprimenti influenze patologiche".

L'educazione di Schreber padre doveva portare alla "obbedienza inconscia e incondizionata", cioè immediata, automatica, senza critiche né osservazioni. Shatzman l'ha descritta come "persecuzione infantile".

Lo scopo dell'educazione di Schreber padre era: "Diventare padrone del bambino per sempre".

La filosofia di Schreber : interventi educativi precoci, immediati, repressivi. Come lui stesso scrisse: "Tutte le ignobili o immorali emozioni devono essere stroncate al loro primo apparire".

Alcuni esempi delle sue modalità e opinioni.

1.     Fin dai primi mesi di vita, se il bambino faceva qualcosa di "sbagliato" (ad esempio mangiare un dolce) i genitori dovevano "distrarre e sottrarre", che significa togliere dalla vista del bambino il dolce e farlo distrarre facendogli fare qualcos'altro. Questa modalità è usatissima ancora oggi in molte famiglie e purtroppo in molti luoghi con ruolo educativo. Vi ricordo che dopo questo tipo di modalità educativa abbiamo avuto fascismo, nazismo e due guerre mondiali.

2.     Ogni disobbedienza del bambino andava annotata in una lavagna posta nella sua stanza, dove veniva anche scritta la punizione che, a fine giornata, sarebbe stata impartita.

3.     Il padre doveva parlare "con disprezzo" al bambino che non obbediva e guardarlo con "minaccia e disapprovazione".


Ogni gesto del bambino doveva essere controllato e corretto.
Schreber padre aveva inventato una serie di strumenti per controllare la posizione assunta dal corpo del bambino.

·        Così il "Reggitesta" era una fascia che si attaccava, da una parte ai capelli del bambino, dall'altra alla cintura impedendo al bambino di abbassare la testa.

·         Il "Raddrizzatore della schiena" era un supporto metallico e spigoloso da collegare al tavolo, in modo che il bambino fosse costretto a stare dritto, per non urtare il metallo del supporto.

·        I bambini dovevano dormire sempre a pancia in su, per evitare che la pressione del materasso sui genitali potesse eccitarli; così Schreber padre mise a punto una serie di legacci per tenere i bambini fermi a letto.

·        Se i bambini tenevano le spalle basse c’era il "Raddrizzaspalle" che consisteva in cinghie di cuoio e molle di metallo, legate attorno alle braccia e poi passate dietro la schiena, in modo da provocare dolore se si abbassavano le spalle.

·        Per evitare "mollezze e tentazioni alla sensualità", era meglio che i bambini dormissero in stanze non riscaldate.

·        Le pulizie personali dei bambini andavano sempre fatte con acqua fredda. A partire dal sesto mese di età, "per irrobustire il bambino" anche l'acqua del bagno doveva essere fredda.

·        Si doveva far attenzione a che i bambini usassero in modo uguale le due parti del corpo; fargli fare "esercizi visivi" per imparare a osservare come volevano i genitori; far usare a lungo un giocattolo prima di sostituirlo con un altro;

·        non far avvicinare i bambini all'arte che ne potrebbe sviluppare troppo la sensibilità e le emozioni, distraendoli quindi dai loro doveri;

·        Per evitare i "danni delle polluzioni notturne insane e debilitanti" e le tentazioni della masturbazione, oltre ai bagni freddi, se si riscontrava una certa agitazione serale nel bambino, gli si doveva praticare un clistere di acqua gelata, da trattenere a lungo, prima di andare a letto. Nel mentre si invitava il bambino alla preghiera, affinché fosse "eccitato dalla presenza di Dio" e provasse la "voluttà dell'anima" piuttosto che quella del corpo.

Questi sono soltanto pochi accenni al tipo di educazione e al tipo di famiglia dove Daniel Paul Schreber è cresciuto. Un ambiente sessuofobico, malsano, sadico, morboso, intriso da fanatismo religioso

 

 

Questo secondo il pensiero psicologico e psichiatrico in cui in questo momento non mi addentro ma appena riuscirò farò dei paralleli tra mondo psico-psichiatrico e lo sciamanesimo.

Il concetto della ‘Schwarze Paedagogik’ è stato introdotto dall’educatrice tedesca Katharina Rutschky nel 1977, ma fu la psicanalista polacca Alica Miller, autrice di libri di successo come “La persecuzione del bambino” e “Il bambino inascoltato”,  a portare il termine qualche anno dopo nel lessico comune — proprio perché lei ne fu vittima. Sua madre, racconta ne” La fiducia tradita”(Miller 1995, 22 segg.), da bambina la sottoponeva ad un vero e proprio muro di silenzio. Non le parlava per giornate intere, ed in questo modo affermava il proprio potere su di lei; un tale comportamento era una punizione, ma non spiegava mai alla figlia per cosa esattamente venisse punita. Se da bambina avesse saputo che la si trattava in modo ingiusto, la situazione sarebbe stata più tollerabile. Ma non è facile per un bambino mettere in discussione i propri genitori. Più facile è pensare che siano loro ad aver ragione ed interrogarsi sulle proprie colpe. In generale nel rapporto con l’adulto.

La bambina che cerca di capire la ragione del comportamento della madre lascia il posto ad un’adulta che ha ormai rimosso i sentimenti infantili, ma si porta dentro il peso di quel senso di colpevolezza, di quel trattamento sadico ed ingiusto, di quella mancanza d’amore.” (da Educazione Democratica) Forse non tutti conoscete il termine Pedagogia Nera, ma sicuramente conoscete i metodi. Perché la maggior parte degli adulti di oggi è stato tirato su con questo approccio disciplinare in famiglia.

E tuttora tanti genitori, purtroppo, ritengono sia giusta continuare ad educare i bambini con questo sistema educativo basato su una violenza invisibile al lato sociale perché facente parte delle abitudini:

– l’utilizzo di castighi

– punizioni corporali

– regole rigide

– manipolazione

– induzione di paure

– sottrazione d’amore

– isolamento

– disprezzo

– mortificazione del bambino.

Un bambino quando nasce è la gioia dei genitori, sembra circondato di amore, ovunque vada c’è intorno qualcuno a fargli le coccole, in troppe famiglie, solo sino a quando fa il bravo bambino/bambina. Ma che succede se quel bambino non si comporta come gli altri si aspettano? Che succede se segue i propri bisogni, e non quelli dei genitori? Succede che il bambino diventa cattivo agli occhi degli altri e poi purtroppo anche ai suoi stesso occhi.    

   Oggigiorno, la Pedagogia Nera si può riassumere basandosi sui seguenti pilastri (delineati dallo psicoterapeuta Alessandro Costantini):

1)Gli adulti sono i padroni (anziché i servitori) dei bambini che da loro dipendono

2)Essi, atteggiandosi a dèi, decidono che cosa sia giusto o ingiusto

3)La loro collera deriva dai loro conflitti personali

4)Essi ne considerano responsabile il bambino

5)I genitori vanno sempre difesi

6)I sentimenti impetuosi del bambino rappresentano un pericolo per il loro padrone

7)Si deve “privare” il più presto possibile il bambino della sua volontà

8)Tutto questo deve accadere molto presto affinché il bambino “non si accorga” di nulla e non possa smascherare gli adulti

La pedagogia nera fornisce sin da subito delle false informazioni che il bambino acquisisce a livello cognitivo ed emotivo e che si trasmetteranno poi di generazione in generazione. Eccone alcune:

1)L’amore può nascere per senso del dovere

2)I genitori meritano rispetto a priori proprio in quanto genitori

3)I bambini, a priori, non meritano rispetto

4)L’obbedienza fortifica

5)Un alto grado di autostima è nocivo

6)Un basso grado di autostima favorisce l’altruismo

7)Le tenerezze sono dannose (amore cieco)

8)È male venire incontro ai bisogni dei bambini

9)La severità e la freddezza costituiscono una buona preparazione per la vita

10)I genitori sono creature innocenti e prive di pulsioni.

La pedagogia nera è un metodo di correzione e condizionamento precoce abbastanza diffuso e radicato nella nostra cultura e praticato spesso inconsapevolmente all’interno delle mura domestiche di generazione in generazione. È una realtà di abuso e di violenza sui bambini che non è solo di natura fisica o sessuale, ma anche psicologica ed emotiva, che non lascia apparentemente alcuna traccia visibile sull’individuo, come se fosse una lunga “catena invisibile del veleno”. La pedagogia nera è un male difficile da individuare e di conseguenza è complicato anche da prevenire e curare.

Paolo Perticari, docente di Pedagogia generale e di Filosofia della formazione presso l’Università degli Studi di Bergamo, ha il merito di aver riscoperto il tema della pedagogia nera in Italia e di averlo riportato al centro del dibattito pedagogico. Perticari cura Pedagogia nera di Katharina Rutschky, opera rimasta ignota al pubblico italiano per quasi quarant’anni, e scrive un’introduzione di 170 pagine, in cui collega e confronta il metodo della pedagogia nera con gli studi di Hannah Arendt su La banalità del male, di Stanley Milgram sulla “obbedienza all’autorità” e di Philip Zimbardo sull’“effetto lucifero”. Rutschky tratta e analizza i vari stili educativi in 250 anni di fonti storiche e pedagogiche dal Settecento fino ai primi anni del Novecento in Germania. L’autrice propone quindi brani tratti da manuali, testi di teoria pedagogica e strumenti educativi in cui emerge chiaramente una forma di male e di distruzione psicologica, mascherata da educazione severa e rigorosa, che caratterizza i normali processi di civilizzazione e istruzione. Le conseguenze di questo male invisibile sono molto gravi per la vita dell’individuo e in certi casi possono diventare persino incurabili.

Facendo riferimento a questo studio, Perticari scrive “Bambini trattati male” in cui prosegue la sua accurata analisi dei bambini e delle bambine vittime di maltrattamenti e di violenza riflettendo sulla pedagogia nera, sulle radici di questo male e sulla possibilità di aprire uno spazio pubblico nei diversi territori in cui si possa individuare opportune pratiche di intervento, informazione e prevenzione. Il bambino può essere a rischio di un’educazione violenta proprio nella rete parentale e scolastica dove in realtà dovrebbe trovare protezione e sostegno. Perticari sottolinea la difficoltà che si ha talvolta nell’affrontare questo argomento a livello comunitario, percepito come un “tabù”, proprio perché “i panni sporchi si lavano in famiglia”.

Si riscontra un paradosso nel definire la pedagogia nera come un ‘metodo educativo’ perché al centro del processo evolutivo non ci sono i bisogni e le inclinazioni del bambino ma i bisogni e le frustrazioni dell’adulto. Per questo non si tratta di un intervento positivo e costruttivo per l’educazione dell’individuo bensì distruttivo per il suo sviluppo fisico, intellettivo, emotivo e psicologico. Il bambino può essere visto come capro espiatorio della frustrazione, della rabbia e dell’insoddisfazione dell’adulto che sfocia in una forma di violenza costituita da umiliazioni, maltrattamenti fisici e psicologici, derisioni e punizioni. L’obiettivo principale di questo metodo di condizionamento precoce è reprimere la parte più vitale, creativa e attiva del bambino per renderlo dipendente e sottomesso alla volontà adulta. Si agisce con la convinzione che ogni diritto stia dalla parte dei genitori e che ogni crudeltà, che può essere conscia o inconscia, sia espressione del loro incondizionato amore. Io ho chiamato questa modalità “ la terribile amorevolezza”, il genitore che ti dice come ti devi sedere, la scuola che devi fare, a chi devi dare un bacio, che poi può diventare  il marito o la moglie da sposare e tanto altro. La dipendenza infantile dall’amore patogeno genitoriale gli renderà difficile successivamente il riconoscimento dei traumi provocati, i quali rimangono celati dietro l’idealizzazione dei genitori o degli insegnanti. L’individuo che subisce violenza tende a introiettarla dentro di sé e perpetuarla in diversi contesti della sua vita privata, tramandando una catena transgenerazionale del trauma e del male.

Purtroppo questo tipo di pedagogia è ancora utilizzata perché mascherata e dunque più difficile da percepire. Appare inoltre in una forma professionale di “pseudo-scientificità” estremamente difficile da mettere in discussione, soprattutto per un non addetto ai lavori (psicologi, medici, educatori) continuando a nuocere gravemente alla salute psichica ed emotiva del bambino. Ma è possibile educare senza violenza? È possibile una pedagogia bianca? Come genitori iniziamo a porgerci delle domande e a cercare delle risposte. Iniziamo ora, perché il benessere psicofisico del bambino è un diritto e va rispettato e protetto, ogni giorno. Cominciamo a dire che in certe famiglie malate, le condizioni di vita dei bambini sono insopportabili. In queste situazioni tutti i giorni viene calpestata la personalità del bambino, viene represso ogni suo istinto, la mancanza di rispetto diventa la regola. In altri casi ci sono anche violenze e abusi sessuali.
Allora può capitare che il bambino, che non può sottrarsi o difendersi dalla situazione in cui vive, si inventi un mondo fantastico e delirante nel quale evadere, e poi perda la strada per vivere la realtà creando le così dette psicosi.

Eppure sì ci sono ricercatori nel campo sociale e psicologico che teorizzano e praticano altre modalità filosofiche di educazione.

 

Alicjia Englard nasce il 12 gennaio 1923, ci lascia il 14 aprile 2010. Di origini ebraiche, durante l’avanzata del nazismo trova rifugio in Svizzera. Ella si salva con la madre e la sorella, purtroppo perdono il padre. Crescendo si dimostra una studiosa assai precisa e capace. Nel '53 si laurea in quel di Basilea in psicologia, sociologia e filosofia. Infine si trasferisce a Zurigo dove conclude la sua formazione professionale come psicanalista. Per oltre venti anni sarà dedita a questa professione, dalla quale prenderà sempre più distanza fino ad abbandonarla del tutto in aperta polemica contro vari aspetti che per lei sono solo nocivi.

Metterà infatti in discussione molti pilastri della psicoanalisi. Ella infatti è giunta a un netto rifiuto del metodo alla base della terapia psicanalitica perché crede fortemente che in sostanza al paziente non viene lasciato tempo e spazio per ricercare la fonte del loro dolore spesso legato ad abusi e traumi subiti da piccoli e sempre in ambito familiare. Il metodo psicanalitico non incoraggia i pazienti verso la ricerca dell’origine del dolore. Al contrario agisce in modo che il paziente non debba confrontarsi con il trauma, inoltre si valuta anche il problema del trasferimento dei pensieri del terapeuta sul paziente. Alice Miller fa notare quanto vi sia poca empatia da parte del “dottore” nei confronti del paziente. La sua critica mette in discussione capisaldi come il complesso di Edipo o la sessualità infantile. Vi consiglio di cercare documenti e libri che potranno aiutarvi a focalizzare meglio le idee innovative della Miller.

Miller dedicò tutta la sua vita agli studi relativi a quanto i traumi subiti nella nostra infanzia, quasi sempre in famiglia e per mano di genitori che piacerebbero a chi anche oggi ha nostalgia delle punizioni fisiche, siano alla base di forti problemi personali e dell’adesione al nazismo. Leggete” La persecuzione del bambino”  in cui analizzando il tipo di educazione subita dai gerarchi nazisti, si sia sviluppato nel paese l’adesione al nazismo. Questa connessione fu la prima a venirmi in mente quando lessi la storia della famiglia Schreber è chiaro e palese che una modalità educativa fatta in questo modo creerà un popolo alienato rispetto ai diritti umani.

Ella crea il termine “pedagogia nera” per spiegare come l’educazione del figliolo basata sull’incapacità di provare comprensione ed empatia per il bambino spinga gli adulti a sopprimere l’istinto e la vera natura del figliolo. Dando ad esso regole rigide e punizioni in caso esse non vengano rispettate si crea l’idea che paura della violenza (psicologica e fisica) siano sinonimi di rispetto ed amore. Il babbo mi punisce? Vuol dire che sono stato un bambino cattivo che ha fatto tanto male al babbo o alla mamma e mi merito la punizione. Merito le botte e l’umiliazione. Invece ha solo un frustrato che lo sta crescendo come lui.

Per cui se la famiglia è terreno fertile per angherie e torti, spesso visti come modi educativi socialmente apprezzati e che «faranno bene al bambino», c’è possibilità per l’infante di crescere “bene”? Qualora la risposta fosse positiva, come fare? Alice Miller ci risponde ridimensionando un po’ quello che è il ruolo del genitore. Molti sono convinti che avendo avuto dei figli capiscano qualcosa su come educare, crescere, i propri bambini. Tanti sono convinti che possano decidere loro quello che va bene alle loro bambine e bambini. Per questo non ascoltano o accettano che la figlia o il figlio abbia una sua identità, dei suoi desideri e pensieri. La sciagura è che costoro sono convinti di essere ottimi genitori e educatori, ancora nelle scuole viene usata questa metodologia educativa, invece combinano solo disastri.

Molti avranno da ridere pensando che al bambino non verranno date delle regole, ma è ovvio che ella non dica mai una cosa simile. Per molti sarà semplice educare con la violenza fisica e psicologica spesso accompagnata da «lo faccio per il tuo bene», quando invece sono solo esplosioni di violenza da parte di persone che non sono forti abbastanza per educare i bambini e le bambine. Forse anche il termine “educazione” andrebbe rivisto, così come l’idea del “buon genitore”. Noi dovremmo solo pensare che spezzare le catene della pedagogia nera servirà a crescere uomini e donne forti e risolti perché in grado di amare,  accettare la propria diversità e quella degli altri e delle altre per non diventare adulti irrisolti e frustrati.

Un'altra modalità educativa e comunicativa molto interessate è la Comunicazione Non Violenta ( CNV) di Rosenberg con la comunicazione empatica e la ricerca di risoluzione dei conflitti secondo queste vie. In cui l’ascolto dei sentimenti e dei bisogni dell’altra persona e i nostri sono fondamentali, una comunicazione fatta di ascolto attivo a questi due elementi creano una modalità pacificante di risolvere possibili conflitti anche con l’aiuto di un mediatore/mediatrice che usi queste tecniche. Per Rosenberg la comunicazione passa attraverso un ascolto empatico, quindi attraverso due cuori pieni di compassione che si prendono l’impegno di essere sinceri su ciò che è importante per ognuno e contemporaneamente danno valore a cosa è importante per l’altro.

Cerchiamo perché sono tanti i modelli educativi che si sono creati verso la socializzazione amorevole, comunicazione sincera e pacifica, non perdiamo le speranze perché le possibilità educative, le modalità di insegnare la gestione delle regole sono tante. Cerchiamo cerchiamo cerchiamo. Accetando di poter fare errori perchè il ruolo del genitore educatore non è facile ma almeno sapremo di averci provato

Fonti:

https://armonie.forumcommunity.net/?t=29858436

Articolo pubblicato su "Diagnosi & Terapia" Settembre 2007
Articolo pubblicato sulla rivista "Alpes" di Sondrio n. 2 febbraio 2008
Dott. Roberto Vincenzi

Bibliografia: Miller A., La fiducia tradita. Violenze e ipocrisie dell’educazione, tr. it., Garzanti, Milano.

Costantini A. Meravigliosa Infanzia. Dalle menzogne di Freud alle verità sul bambino‘ Edizioni Il leone verde

https://amigdalastudiodipsicoterapia.com/2015/02/01/pedagogia-nera-se-la-conosci-la-eviti/

https://archivio.ilbecco.it/cultura/saperi/umanistica-e-sociale/item/4656-il-pensiero-di-alice-miller-per-spezzare-le-catene-della-pedagogia-nera.htm

Gruppo informale del Gusto della Gentilezza www.nikifasano.it


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(dedico questo articolo a mio figlio e mia figlia , ai bambini e bambine che siamo stati e a tutti e tutte quelle che arriveranno )

 

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